
Se qualcuno vi chiedesse quale tra le ceramiche rappresentate nelle foto è la più antica, scommetto che indichereste quella di destra: rozza, grossolana, poco rifinita; niente a che vedere con quella dalle forme regolari e superbamente decorata riportata a sinistra.
Ebbene, vi sbagliereste. La bella scodella e il vaso decorati risalgono al VI millennio a.C., alla “cultura Ubaid” . Le ciotole risalgono alla “cultura di Uruk”, di circa mille anni più tarda (3800 – 3100 a.C.).

Per gli archeologi si è trattato in un bell’enigma, perché nonostante nei suoi templi si siano rinvenuti manufatti di rara bellezza (come la “Signora di Uruk”, riprodotta qui a fianco), queste rozze ciotole dal caratteristico bordo smussato, chiamate bevelled rim bows erano di uso talmente frequente da costituire l’elemento probante dell’appartenenza di un sito a questa cultura: stiamo parlando di milioni di reperti ritrovati in tutta la regione.
Si potrebbe pensare allora che siano il prodotto di una fase involutiva durante il quale le tecniche di lavorazione sono regredite, ma non è vero. Quello di Uruk è anzi un periodo di grande espansione. Vede la fondazione della città di cui prende il nome, la prima nella storia dell’umanità, una “megalopoli” che già alla fine del IV millennio a.C. raggiunge i 50.000 abitanti e dimensioni di gran lunga superiori a città molto più recenti, come l’Atene di Pericle. Un centro che estende la sua influenza a tutta la regione, dando vita ad altri importanti insediamenti distribuiti lungo il corso del Tigri e dell’Eufrate (vd cartina in basso).

È il fulcro della sofisticata civiltà dei Sumeri, a cui il mondo antico deve tante innovazioni tecniche e scoperte scientifiche, compresa la forma più antica di scrittura, quella cuneiforme.
Allora perché una civiltà, pur sapendo produrre manufatti sofisticati, ne ha preferito altri molto più rozzi?
Secondo gli archeologi, queste umili ciotole sono la testimonianza di uno dei grandi momenti di transizione nella storia dell’umanità: il passaggio dal villaggio abitato da nuclei famigliari autosufficienti (in grado di provvedere alle proprie necessità di cibo, utensili, tessuti) alla città.
A cavallo tra il V e il IV millennio a.C., la Mesopotamia è soggetta a un rapido cambiamento climatico, che da un lato comporta una diminuzione delle piogge e dall’altro un progressivo ritiro delle acque del Golfo Persico, con l’emergere di nuovi terreni coltivabili. La vita nei villaggi si fa più dura, perché la mancanza di precipitazioni rende necessarie opere di irrigazione che le piccole comunità non sono in grado di sostenere e che comunque si possono realizzare solo vicino ai corsi d’acqua. Per sopravvivere, la popolazione è costretta a riunirsi in centri più grandi, in prossimità dei tanti canali che all’epoca il Tigri e l’Eufrate creavano prima di gettarsi nel Golfo.
In questo modo è possibile realizzare non solo le opere idriche, ma anche tutte quelle infrastrutture (magazzini, templi, mura difensive) necessarie a comunità più vaste. Ma come mantenere le grandi masse di lavoratori necessarie per realizzare queste opere, che non possono più dedicarsi alle attività agricole o pastorizie necessarie all’autosostentamento come avveniva nei villaggi?
La risposta sta in un cambiamento sociale che possiamo considerare epocale: intorno al Tempio, collante della comunità, nasce una organizzazione centrale, che raccoglie la gran parte della produzione agricola e della pastorizia per ridistribuirla a chi è impegnato in attività al servizio della collettività: non solo gli operai, ma anche gli scribi, i funzionari, i militari e i sacerdoti, che . È l’inizio dello “Stato”, anche se per ora solo a livello cittadino.

Ma che c’entrano le nostre ciotole? I lavoratori “stipendiati” ricevono il salario in natura, sotto forma di razioni che devono ovviamente essere misurabili e uguali per tutti. Il Tempio ha quindi bisogno di contenitori di dimensioni il più possibile standardizzate e reperibili in gran quantità.
Da qui la prima produzione “in serie”, tramite stampi, di ciotole tutte uguali, prive di decorazioni e di qualità inferiore a quelle artigianali per poter essere facilmente realizzate da mano d’opera non specializzata.
È un cambiamento di paradigma nel modo in cui l’uomo si relaziona con gli oggetti che crea: l’obiettivo diventa la quantità e non più la qualità, per la prima volta nella storia la produzione “di massa” viene preferita al lavoro artigianale. Un modello che verrà applicato anche ad altri beni, come i mattoni per costruzione e i falcetti di argilla “usa e getta” da utilizzare durante i periodi di raccolto e da buttar via quando il filo della lama si consuma.
Per chi volesse saperne di più
Giovanni Pettinato – i Sumeri Bompiani 2007
Marc Van De Mieroop – A History of the Ancient Near East ca. 3000-323 b.C. – Wiley, 2016
Lorenzo Verderame – Introduzione alle culture dell’antica Mesopotamia – Mondadori 2017
Davide Nadali e Andrea Polcaro – Archeologia della Mesopotamia antica – Carrocci editore 2018
Franco D’agostino – I Sumeri Hoepli 2020